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Tra tutti i dipinti, astratti o figurativi, i temi e i soggetti, la natura morta è forse quello maggiormente apprezzato e richiesto da acquirenti e committenti di quadri d’autore.
Ciò purtroppo non ha messo d’accordo, o almeno non sempre, gli storici e i critici dell'arte con i collezionisti.
Per lungo tempo, infatti, la natura morta, così come la pittura di paesaggio, è stata percepita come un genere "di serie B" rispetto ad altri considerati più elevati, ovvero quello mitologico o storico.
Tuttavia, il fascino della frutta matura più polposa, di fiori lussureggianti, di una natura colta all'apice del suo splendore, o dei materiali più diversi indagati con occhio curioso, non ha cessato di conquistare autori e compratori nel corso dei secoli.
E ogni epoca, stile e tendenza della Storia dell'Arte ha elaborato il proprio personale sguardo e approccio sul genere.
Oggi, naturalmente, ogni pregiudizio è stato abbattuto, e nessuno più si sognerebbe di considerare la natura morta un tipo d’arte di valore inferiore.
Partiamo dunque in una affascinante carrellata costellata di oggetti ed elementi naturali quotidiani, ma che tanto ci dicono sulla storia dell'uomo e dell'arte, al pari e anche più delle raffigurazioni di grandi eventi!
Innanzitutto, quali sono le origini della natura morta?
Intendendo quest'ultima in senso lato, si può dire che l'arte in sé sia nata proprio dal desiderio di rappresentare elementi richiamanti il vissuto e le sfide quotidiane dei nostri antenati, come gli animali da cacciare. Nell'arte preistorica della stupefacente Grotta di Almira, in Spagna, le mandrie di bisonti dipinte sulle pareti avevano una funzione benaugurante e in qualche modo psicologicamente tranquillizzante. Si crede infatti che i nostri avi di sera, nascondendosi dal buio minaccioso della notte nella cavità ospitale della roccia, cercassero di mirare ai disegni con delle lance, credendo che ciò li avrebbe aiutati l'indomani a catturare un vero animale in carne ed ossa. A conferma di questa idea sembra propendere il ritrovamento, sulla superficie delle immagini, di colpi di arma.
Ecco quindi che - già dagli albori - la funzione della natura morta va molto al di là dell'apparente banalità e leggerezza della quotidianità, ed evidenzia invece neanche tanto riposti valori psicologici e simbolici di primaria importanza.
E più ci si avvicina ai quadri d'arte moderna e alle opere d'arte contemporanea, più questo diventa vero.
Presso gli antichi Greci, la rappresentazione sulle pareti degli xenìa, vivande e doni offerti agli ospiti, era un modo per evocare il valore dell'ospitalità, tanto caro a quel popolo. Altre volte, sui vasi a figure nere o rosse, oggetti usati nei sacrifici assumono invece un valore sacrale.
I Romani ereditano tale duplice funzione della natura morta: gli altari dei templi di Pompei sono adorni di sacri utensili, mentre le pareti delle sue domus risplendono di frutti, cacciagione e vasi dalle trasparenze virtuosistiche, soprattutto nell'epoca ellenistica, più attenta ai valori realistici ed edonistici.
Caduto l'Impero, la pervasiva oppressione religiosa del Medioevo e poi il gusto concettoso del Rinascimento fanno sì che animali e oggetti vengano più che altro usati per il loro valore di fede e simbolico: il corallo è la passione di Cristo, la serpe il demonio, il leone la forza della Chiesa, la perla la purezza.
Un po’ diverso è il Manierismo. Un autore come il Parmigianino, con dettagli di stoffe, gioielli e monete, inserisce nei suoi ritratti brani di natura morta che vogliono unire al valore metaforico anche illusioni ottiche, in una sorta di metalinguismo - cioè riflessione sul linguaggio dell'arte - in anticipo sui dipinti contemporanei e sugli iperrealisti.
Nel Seicento, se il lato cupo del Barocco nascondeva una mela bacata tra le tante succose come memento mori - ossia costante richiamo alla morte - la rivoluzione naturalistica e insieme simbolica di Caravaggio sfruttava la teatralità di luci contrastate per enfatizzare sia i dettagli reali, sia il loro impatto spirituale.
Profondità decisamente persa nel Settecento, tra un Rococò perso in immagini di imbarazzante leziosità decorativa e un Neoclassicismo gonfio e tronfio di armi e scettri, le cosiddette “glorie” celebrative del potente di turno.
All'opposto, intima e raccolta è la percezione di oggetti quotidiani nel Romanticismo, spesso inseriti come stralci domestici in scene più ampie, per accentuare il risvolto sentimentale tipico del secolo, anche talora in dipinti a carattere storico.
Bisognerà quindi aspettare scultori o pittori contemporanei per recuperare la profondità di linguaggio della natura morta: nella Pop Art, tra ironia e ammiccamento all'arte astratta e Minimal, le scatolette di zuppa Campbell's ripetute in serie divengono puri segni svuotati di significato, come nelle dinamiche sociali della nascente massificazione.
Per arrivare infine all'Iperrealismo che, mettendoci davanti a dettagli più veri del vero, gioca sul confine tra reale e sua rappresentazione, eterno problema metalinguistico dell'arte: potrà mai una mela sfamarci, anche se dipinta in modo perfetto? No, e lo diceva già il surrealista Magritte...
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