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Nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso si è concluso quel percorso, iniziato con l’invenzione della macchina fotografica, di assunzione della fotografia a forma d’arte autonoma che quindi, come tale, indaga i temi già tipici della pittura e della scultura.
Il fotografo statunitense Ansel Adams disse: “ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene.”
Ecco, è proprio la spiegazione la sottile linea di demarcazione che da un certo periodo in poi ha distinto la fotografia artistica da quella che non lo è affatto.
Inevitabilmente la percezione del valore che la fotografia ha nelle nostre vite è cresciuta nel tempo in maniera direttamente proporzionale al progresso tecnologico: i grandi fotografi famosi sono celebrati in tutto il mondo e tengono mostre che attirano un pubblico sempre più numeroso; i libri e i cataloghi fotografici vendono come non hanno mai venduto e alcune stampe raggiungono quotazioni difficilmente immaginabili venti o trenta anni fa.
D’altro canto, venti o trenta anni fa non si fotografava come e quanto si fotografa oggi. Tutti fotografano continuamente, chiunque e qualsiasi cosa, in modo compulsivo e non è difficile capirne il motivo: i social network, in questo caso Instagram in particolare.
Ovviamente, e aggiungerei fortunatamente, il semplice atto del fotografare non rende chiunque un fotografo, men che meno un grande fotografo. Se Steve McCurry e Andreas Gursky hanno così tanto seguito è perché, come qualsiasi altro tipo di artista, sanno vedere e cogliere la realtà con occhi diversi.
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