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Che il mercato dell’arte a livello internazionale goda di un ottimo stato di forma è indubbio e lo testimoniano chiaramente i dati: il giro d’affari legato alla vendita di arte online dagli inizi del terzo millennio ad oggi è praticamente raddoppiato.
In Italia la situazione a livello prettamente numerico è pressoché in linea con il trend globale, ma, come è ovvio, i numeri e gli introiti non possono e non devono essere gli unici indicatori da tenere in considerazione quando lo scopo è analizzare lo stato di salute di un sistema complesso come quello dell’arte contemporanea in Italia.
La tendenza tutta italiana, comprensibile, per carità, a celebrare l’arte del passato mettendola in vetrina senza valorizzare e incrementare la produzione di quella contemporanea sta generando un danno irreparabile in termini sia economici che morali.
Perché questa tendenza sia comprensibile è presto detto: il patrimonio storico-culturale e l’infinita dotazione di beni e monumenti del nostro Paese giustificano in parte la cristallizzazione dell’arte contemporanea italiana ma non il comportamento e le decisioni delle istituzioni a tal proposito.
Gli addetti ai lavori, siano essi produttori o distributori, non capiscono, giustamente, perché lo Stato non riesca a fornire agli italiani gli strumenti per comprendere l’arte contemporanea e distinguerla da quella precedente: l’arte è arte, e su questo non si discute, ma la prima è specchio della realtà presente e non può prescindere dalla seconda, altrettanto importante ma inevitabilmente diversa, passata, e quindi da conservare e proteggere.
Detto questo, gli artisti contemporanei emergenti italiani non si arrendono, nonostante le difficoltà ad emergere, e si dimostrano sempre pronti a tenere in vita un movimento, ahinoi, troppo poco valorizzato.
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