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Helmut Fleiss è un artista espressionista romantico. Un' anima in tormento. Vorrei inquadrarlo nella storia dell'espressionismo astratto tedesco del periodo tra le due guerre mondiali. La sua scuola comincia da lì, come la storia della pittura referente alla lingua germanica. Le sue pennellate portano l'impronta di una composizione di Wagner, una musica fatta di violini viole, timpani, piatti, fusti e di martelli che battono su incudini, e di cannoni che sparano a salve o fogli di lamiera sconquassati a ricordare l'arrivo di un lontano frastuono di temporali, o la caduta di qualche divinità pesantemente bardata. Helmut Fleiss conosce la cruda malinconia di Anselm Kiefer, ne conosce i pesanti e infiniti silenzi, ne conosce gli impasti della materia su tele grossolane miste a fusioni di piombo. Ma è ancora innamorato del colore, della pasta che stende, enfaticamente a istinto sulla tela, quasi in preda a un rito mistico, mentre dipinge, in modo poco gentile con la tipica impronta forte di un tedesco, con rudezza, forza, sincerità e franchezza. Il lessico di una inconfondibile impronta d'oltralpe. I colori che a volte sembra, nel suo adoperarsi e accanirsi sullo spazio della tela, non capire. I colori mediterranei, che vede nelle coste toscane, e scopre un contatto mai provato prima, alieno dal suo mondo fatto di faggi e abeti. Colori che sembra non capire, non essere in grado di elaborare in forma armoniosa. Colori che tuttavia rispettano la franchezza di un accozzaglia di nibelunghi in battaglia, o l'irruenza di un volo minaccioso di valchiria. Questo è Helmut Fleiss abituato a dialogare con i colori di un bosco di montagna, e abbagliato dal frastuono meraviglioso della macchia mediterranea.
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