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120sobr-3727
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Ettore Sobrero nacque all’apice della fortuna del calzaturificio di famiglia e ha più volte dichiarato di aver abbracciato il ruolo di manager d’industria assegnatogli dalla vita più per dovere di famiglia che per vocazione.
Nonostante la laurea in Economia e Commercio, non trascurò mai i suoi interessi intellettuali come la filosofia e l’arte in tutte le sue sfaccettature: pittura, certo, ma anche incisione, fotomontaggio e bassorilievo. Il rigore e lo stile unico delle sue opere condurranno Ettore Sobrero al culmine del suo percorso artistico a partire dal 1955, anno catartico che vede l’inaugurazione della stagione dei “Cieli Alti”.
I temi del cosmo non erano inediti all’arte pittorica e letteraria europea, ma Sobrero li concretizza con una fusione fra il Tachisme di Jean Fautrier e il magnetismo dei paesaggi di Osvaldo Licini a dir poco singolare. Negli stessi anni Italo Calvino pubblica “Le Cosmicomiche”, per questo è inevitabilmente incuriosito dai soggetti del suo vecchio amico, del quale decreterà la superiorità espressiva, in quanto il dinamismo dei quadri di Sobrero era fondato su un astrattismo esente dal peso diretto delle parole.
Gli spazi sconosciuti e ignoti del cosmo si concretizzano sulla tela attraverso il sapiente uso di segni plastici, polveri e pigmenti. La luminosità assicurata dalla perfezione scultorea dei cieli intangibili ci invitano alla riflessione parmenidea sulla profondità dell’esistenza e sulla unicità di follia e ragione.
Artista italiano versatile e in continua evoluzione, Ettore Sobrero dà vita a veri e propri viaggi nel cosmo alla scoperta per poi soffermarsi sulla profondità dell’animo umano, cercando di rappresentarne l’essenza attraverso la miniatura. L’equilibrio di rapporti tra forma, misura e colore richiama l’epoca vittoriana, caratterizzata dall’estrema pianificazione dello spazio abitativo. La scultura permette all’artista di racchiudere in uno scrigno gli attimi salienti richiamati consapevolmente dalla memoria, fornendo allo spettatore la chiave per sperimentare epifanie uniche, personali, conferendo contemporaneità ad attimi passati e mai dimenticati, come un’eterna madeleine proustiana.
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